Alcune recensioni
“Questa è la terra, non ancora il
cielo” di Gabriella Imperatori e Gloria Spessotto (Tufani ed.)
Un romanzo che sfida condizioni
avverse di partenza.Piccolo editore - e non di tendenza - ; storia
generazional-familiare che abbraccia il nostro secolo; linguaggio sobrio,
elegante, senza un filo di trucco sperimentale: autrici non più in età da
sballo o da discoteca.
Proprio per tutti questi motivi
vorremmo davvero gridare al vento che si tratta di un romanzo molto bello,
ricco di vita, di eventi, di figure tratteggiate con finezza, di nostalgia
esistenziale e di credibili casualità del destino, di quando le rincorse del
tempo prima o poi ci fanno riapprodare a noi stessi... Costruito in modo
tutt'altro che lineare, con pregevole agilità stilistica nell'intreccio delle
varie tipologie dei protagonisti, il romanzo scorre veloce fino al sorriso
finale. Quando tra morti, oscure scomparse e vite consumate in sordina, lo
sguardo traboccante di storia e leggende familiari che scorre fra Marianita e
Ania è lo sguardo del ritorno.
Sergio Pent “La Stampa", 2
luglio 1998
“Bionda era e bella” di Gabriella
Imperatori (Rusconi ed.)
Libro d'insolita freschezza
In queste pagine la giovane donna
in crisi, più che confessare, si
racconta. Ciò dà al libro una insolita freschezza. Nel
disordinato
diario è proprio il disordine, il
ripetuto, il maniaca1e, l'irrisolto
destinato a rimanere per sempre
irrisolto, la nota vincente o perlomeno seducente. Le battute finali, come
sempre rivelatrici ("la realtà mi appartiene finalmente... quella che è...
Mi accorgo che non sto più sorridendo. Sto ridendo. In fondo,vado a fare un
esame. Uno dei tanti che dovrò fare nella vita») chiudono bene il cerchio. Il
disordinato diario ha per esito un armistizio con se stessa e la vita. Una
accettazione condizionata, la cui saggezza si riverbera a rebours su tutto il
racconto.
Geno Pampaloni "Il Giornale", I0
giugno 1990
“Bionda era e bella”, Rusconi
Non si può amare il marito
Se dovessi definire il romanzo
potrei usare le stesse parole dell'autrice:una storia bergmaniana, lui e lei,
che si amano, si odiano, si fanno a pezzi giorno dopo giorno». Una storia che
ha la cadenza di una terapia psicanalitica: la protagonista cerca, e trova, le
parole per dirlo», le trova attraverso il dolore e l'analisi; ”quell'impagabile
contatto telepatico che vale più di cento coiti messi insieme”.
Il rapporto con marito è la parte
più contratta, problematica, e proprio per questo oggettivamente efficace, del
libro, forse anche perché questo marito è la sintesi di ogni autorità imperante
nell'universo femminile: narciso, inconoscibi1e e crudele, è l'immagine in
negativo dell'amore.
Gina Lagorio, “L’Unità”, 18, 6,
1990
“Portami via con te” di Gabriella
Imperatori è un romanzo di rara amabilità (Marsilio ed., pp. 107, L. 20.000).
La cosa di per sé non sarebbe rimarchevole se il romanzo non fosse drammatico.
Credo che il segreto di questa amabilità si trovi nella prosa della Imperatori,
che scioglie ogni grumo doloroso in una rappresentazione oggettiva in cui non
può mancare un lieve sorriso: il sorriso della saggezza. La Imperatori ha un
senso istintivo per i temi che ci riguardano e che sono essenziali, come il
dolore, l'amore materno, la morte sempre incombente, la conflittualità sociale.
In lei non c'è nessuna traccia di lirismo sentimentale, che tanto nuoce alle
donne scrittrici. Ma non c'è nessuna traccia neanche di quello scandalismo da
quattro soldi che gremisce le pagine di alcune scrittrici dell'ultima
generazione, avviata a un deciso cedimento alle leggi di mercato.
Lo scandalo, per la Imperatori,
sta nella vita, nella sofferenza che la vita ci somministra con crudele dovizia
di dettagli, senza che possiamo opporle nulla, se non la nostra laboriosa
rassegnazione.
La protagonista di “Portami via
con te” si chiama Lia e all'inizio la troviamo mentre, in aereo, si reca al
Cairo per un congresso specialistico, sui bambini autistici. Dunque, una
congressista: e il lettore comincia a preoccuparsi dato che le donne
intellettuali non hanno mai avuto fortuna nel romanzo. Invece Lia è una donna
di una semplicità e di una concretezza straordinaria. Direi che il suo tratto
distintivo sia lo stupore attivo, che è il sale della adolescenza. Ma Lia ha
più di quarant'anni, un matrimonio fallito alle spalle e un figlio malato che
vive in un ospedale in mezzo a un grande bosco, sulle montagne. (“E io lo vedo
spesso, ma non sempre mi riconosce. Forse col tempo non mi riconoscerà mai
più”). Parole amarissime da parte di una madre, eppure riscattate dal soffio
della poesia. Al Cairo i luminari della scienza (così si dice?) espongono le
loro idee e le loro scoperte sul conto dei bambini autistici. Ma che cosa ne
sanno dell'autismo? Quasi nulla. Questa malattia atroce e misteriosa, capace di
sconvolgere qualsiasi fede, non ha ancora trovato una terapia decente. I
congressisti parlano, parlano, ma nelle loro parole non c'è che vuoto, vanità e
mondanità. Lia ripensa al suo passato; al marito austriaco e maschilista che
l'ha lasciata quando si è accorto che il figlio era autistico. Ripensa agli zii
che l'hanno cresciuta ed educata, e al suo amore per il marito, in tempi in cui
non c'era nessun figlio malato ed era facile stare uniti.
La prosa, a mano a mano che il
romanzo avanza, perde la sua iniziale amabilità. Diventa giustamente più
risentita per il peso della sofferenza di Lia, senza però perdere in
autenticità. Ci sono poi gli intensi dialoghi tra Lia e Alì, un egiziano
assuefatto alla morte e al dolore, che con la sua “piramidale” umanità riesce a
consolare Lia, fino alla scena finale nel cimitero, intrisa di vera poesia.
Giuseppe Bonura, “Avvenire”
NB. Per il romanzo “Trilogia dei baci”
(Marsilio) visita questa pagina. Il prossimo romanzo sarà pubblicato prossimamente
sempre da Marsilio.
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